Quando, dopo la morte di mio zio Adriano, mi sono state date tutte le carte (e le foto, quante foto…) che aveva ricevuto a sua volta da nonno Enrico e nonna Maria, più tutti gli appunti di sua mano sugli approfondimenti che egli aveva fatto sulla famiglia, a partire dal primo Galantini, Francesco, che venne a Roma da Pisa nel 1635; quando cominciai insomma a leggere quelle carte, quella che più mi ha intrigato, sin dal primo momento che l’ho vista, è stata l’ultima lettera di Tito Chierici a nonno Enrico. Ma a questo punto devo fare per forza un inciso su Tito Chierici, sulla lettera tornerò dopo.
Tito Chierici, il figlio di Luigi, fu una specie di secondo padre per mio nonno, che visse con lui e con la sorella Dorina, nella casa di via Principe Amedeo 56 a Roma, praticamente fino a quando si sposò con Maria. Tito era un uomo di lettere. Cosa (e se) altro facesse per vivere, non so. Scrisse qualche novella (una delle quali è arrivata fino a me) e brevi biografie (di queste i miei faldoni ne annoverano due). Due volumi da lui manoscritti sulla vita del padre Luigi vennero donati da mio nonno alla biblioteca di Bologna. Ma più di questo non saprei dire. Se non che amava profondamente, come un figlio, Enrico, come aveva venerato la di lui madre Ernesta (la famosa tomba che gli zii regalarono a Enrico, in realtà fu Tito ad adornarla, pagando lui il marmista e chiedendo anche a un suo amico scrittore di Bologna di comporre l’epigrafe, poi andata perduta nel bombardamento del Verano nel luglio del 1943). Di lui mi restano tanti biglietti e piccole lettere a Enrico in occasione dei suoi compleanni e onomastici. Più due lunghe lettere – quasi dei testamenti – scritte a Catino, dove risiedette negli ultimi anni della sua vita, nel 1919 e nel 1920. Morì, sempre a Catino, il 3 giugno del 1922. Non ho trovato riferimenti precisi alla data esatta in cui era nato. Ma, visto che le due biografie in mio possesso sono state stampate a Bologna nel 1871, se ne può dedurre che dovrebbe esser nato prima del 1849-1850, prima cioè dell’esilio di suo padre. Ed essendo quest’ultimo nato a sua volta nel 1823, credo si possa dire con ragionevole approssimazione che Tito doveva esser nato tra il 1845 e il 1850. Era cioè coetaneo o poco più giovane di Ernesta Lopez-Celly, che era nata a Roma nel 1844.
La lettera cui accennavo all’inizio porta la data dell’8 aprile 1920. In essa, introdotta da un perentorio “Chi sta per comparire al giudizio di Dio non può mentire” (in realtà Tito visse altri due anni), viene ribadita una richiesta già avanzata a Enrico. Sentiamola dalla viva penna di Chierici: “ Più volte t’ho detto che hai il dovere di togliere la lapide che è sul sepolcro della tua famiglia: l’iscrizione è un immeritato insulto a una memoria che ti dev’essere sacra”. Che cosa ci sia scritto di così tremendo su quella lapide, Tito non lo specifica. “Di più non posso dirti – spiega subito dopo –, il silenzio essendomi comandato dalla pietà verso un estinto (presumibilmente si tratta di Luigi Galantini, ndr). Segue il richiamo all’ordine: “Ho fiducia che più non t’indugierai a compiere tale dovere. Tu eri fanciullino quando perdesti l’ottima tua madre, e però non potesti apprezzare le belle sue doti, ma ti si insegnò a venerarne la memoria. Abbi cura della sua tomba, e per fermo l’avrai”.
Finisce qui la richiesta, perentoria e un po’ ricattatoria di Tito Chierici a Enrico. Che due anni dopo, alla morte del vecchio, ne curerà la traslazione al Verano.
Non so se anche chi legge, a questo punto è curioso di sapere che cosa ci sia scritto su quella tomba. Io lo sono rimasto a lungo, prima di andare a controllare di persona al Verano. La tomba di Luigi Galantini è sul colle del Pincetto Vecchio, proprio sopra la basilica di S.Lorenzo (guardando la chiesa, sulla sinistra) appoggiata al muro che domina la via Tiburtina. La lapide dice: “Nella pace del signore qui riposano Luigi Galantini, nato il 14 febbraio 1822 – morto il 25 luglio 1894 ed i figli Augusto, Costanza, Ippolito, Eugenio” (quelli cioè premorti al padre) e poi, sotto, figli e figlie, generi, nuore e nipoti che via via si sono aggiunti negli anni fino all’ultima, Ernesta Galantini, figlia di Augusto II, morta nel 1994 a 94 anni. Null’altro. Tito scrive la sua lettera quando vive già almeno da un anno a Catino. All’inizio del 1919, peraltro, oltre a Luigi e i suoi quattro figli, era stata già sepolta solo la nipotina Ernesta Zarich, figlia di Anna Maria Galantini (per tutti “Nannina”). Quindi, o c’era tanto spazio vuoto su quel marmo, oppure, più probabilmente, la lapide era diversa e conteneva la scritta che per Tito era un insulto alla memoria di Ernesta Lopez-Celly Galantini.
È assai probabile quindi che nonno Enrico, magari d’accordo con le sorelle e il fratello Augusto, abbia provveduto a far cancellare l’onta. Ma fedele alla sua personale damnatio memoriae del padre, non volle serbare – lui che conservava tutto – ricordo alcuno dell’avvenimento. E così forse non sapremo mai che cosa c’era scritto su quella lapide.
sempre più curiosa di saperne di più, meglio di un giallo.