Più volte ho scritto in questo blog di Catino, il paesino arroccato sopra una dolina carsica (il “Catino” appunto) nel quale verso la fine dell’800 il mio bisnonno aveva una grande casa e molte terre e dove tutta la famiglia passava l’estate.
Tra le carte di zio Adriano ci sono lettere, da Catino, telegrammi, da Catino e per Catino, fotografie fatte a Catino. Il bisnonno Luigi (l’innominabile) vi morì nel 1895. E anche Tito Chierici, trasferitosi lì da Roma (credo per motivi di ristrettezza economica) concluse nel paesino sabino la sua vita terrena (memorabili le sue due ultime lettere a nonno Enrico, scritte con la sua perfetta grafia ottocentesca, davvero una calli-grafia…).
La casa dei Galantini me la mostrò per la prima volta mio padre, quando verso la metà degli anni 80 (se ricordo bene) giravamo per la Sabina alla ricerca di una casa di campagna. Quello che so della “casa rosa” me l’ha raccontato lui.
Come avete visto dalle foto, la casa rosa sovrasta e ingloba l’ingresso all’intero paese (Catino al suo interno è fatto di stradine strette e scale che portano su fino alla torre longobarda pentagonale dell’VIII secolo e alle rovine della rocca: le automobili ovviamente non entrano nel paese). La casa rosa, una volta dei Galantini, è oggi proprietà della famiglia Coltellacci, come mostra la foto qui sotto.
Cioè, la foto lo mostrerebbe se si leggesse la targhetta sulla porta, che recita effettivamente “Coltellacci”. Mio padre la raccontava così: quando Luigi Galantini morì, nonno Enrico aveva quattordici anni e, per tutelare i suoi (di Enrico) interessi, venne nominato suo tutore l’avvocato Coltellacci, che evidentemente tutelò bene i suoi interessi (e ghignando papà calcava sul “suoi”, giocando evidentemente con l’ambiguità del pronome) tanto che la casa divenne di proprietà dei Coltellacci.
A Catino, sul piazzale esterno, ha una casa (quella costruita dal suo bisnonno Caioli) mio cugino Enrico De Giovanni. Confesso che lo invidio un po’.